Human to human e marketing relazionale: verso una “nuova” frontiera
Parlare alle persone, mettere le persone al centro delle conversazioni, privilegiare la comunicazione human to human, orientarsi verso il marketing relazionale.
Non vi suonano come nuove queste parole, vero? Ne avrete di certo già letto e sentito parlare, di recente più che in qualsiasi altro momento, e forse non è da escludere che la motivazione sia da ricercare nel particolare periodo che stiamo affrontando. Lo stravolgimento che ha investito le nostre vite, sia a livello privato che professionale, ha riportato a galla (finalmente) l’importanza, a lungo lasciata in un angolo, delle relazioni umane. Non si tratta di un concetto recente e neppure nuovo, ma d’altronde ciclicamente tutto torna.
Per un lungo periodo gli approcci Business to Business (B2B) e Business to Consumer (B2C) hanno governato le dinamiche di mercato. Al centro del processo e della comunicazione troviamo sempre il prodotto o servizio offerto e tutto ruota attorno alle caratteristiche, ai vantaggi, al prezzo, considerando solo marginalmente chi lo deve acquistare: una persona. È vero, nei mercati si scambiano e vendono oggetti e prestazioni, ma i mercati sono fatti di persone e per le persone, quindi le aziende che vogliono andare avanti e prosperare farebbero meglio a prendere in considerazione, abbracciare e coltivare un approccio H2H.
Human to Human: quando se ne inizia a parlare
Il concetto di H2H si palesa durante un TED Talk del 2014 e si tratta di un vero e proprio movimento diffuso da Bryan Kramer. CEO e co-proprietario insieme alla moglie di PureMatter, una delle più importanti agenzie di marketing della Silicon Valley, sostiene che le aziende debbano umanizzarsi e parlare alle persone in modo semplice, chiaro, empatico, girando a proprio vantaggio anche le imperfezioni, gli errori che possono accadere, perché anch’essi sono tipici degli esseri umani. E se ci pensiamo bene le aziende stesse, che nell’immaginario ci figuriamo come edifici enormi e vuoti, sono fatte proprio di persone.
Se vogliamo fare un ulteriore passo indietro nel tempo, però, già nel The Cluetrain Manifesto del 1999 si puntava il riflettore sull’idea che i mercati sono conversazioni e ancora i mercati sono fatti di esseri umani, non di settori demografici.
Nonostante quindi se ne sia iniziato a parlare più di vent’anni fa, molti brand ancora oggi faticano ad apportare cambiamenti nelle impostazioni della comunicazione, e troppo spesso continuano a pianificare strategie di marketing in cui la relazione umana non trova spazio.
Dalla comunicazione unidirezionale a quella relazionale
La comunicazione unidirezionale, come quella della pubblicità in televisione ad esempio, ha fatto il suo tempo. Con l’avvento dei social e la loro progressiva diffusione, i consumatori hanno iniziato a cercare un rapporto diretto con le aziende, trovandosi spesso davanti un muro di silenzio. Il profilo del consumatore medio, infatti, è evoluto molto più velocemente di quanto non abbiano fatto le aziende stesse che, abituate a porsi su un mercato in cui non c’era possibilità di contraddittorio, non sempre sono in grado di gestire la relazione voluta dall’acquirente.
I social, si sa, non sono nati per vendere, ma per stabilire connessioni umane e i brand dovrebbero imparare a farne esattamente quest’uso. Bisogna iniziare a guardare le persone in quanto tali e non solo ed esclusivamente come clienti o potenziali tali. Avere a disposizione una piazza virtuale, popolata h24 e 7 giorni su 7, in cui potersi raccontare e parlare del perché si è scelto di fare qualcosa più che della cosa in sé, svelare i retroscena, dare valore ai propri dipendenti che rendono possibile all’azienda di essere sul mercato, è un’occasione preziosa e sprecarla sarebbe insensato.
Bisogna lasciare da parte la smania di vendere e cercare, invece, di aiutare le persone. Ascoltarle e, soprattutto, rispondere in modo chiaro e inequivocabile. Mostrarsi seri e affidabili. Sono infatti queste le chiavi che oggi possono portarci ad acquisire clienti.
Parliamo alle persone, ma come?
Creando e comunicando emozioni. Le persone sono fatte di sensazioni, di cui si nutrono costantemente e se vogliamo fare breccia nel loro cuore e fissarci nei loro ricordi dobbiamo riuscire a emozionarle e, soprattutto, trasmettere un’immagine genuina, reale del nostro brand.
Ricordate cosa diceva Oscar Wilde? Non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione. Ecco, tutti noi viviamo di impressioni e quando se ne fissa nella mente una negativa, sarà molto difficile cambiarla.
Per parlare con le persone, dunque, dobbiamo umanizzare le conversazioni. Ciò non significa banalizzarle, ma semplificarle. E come? Possiamo iniziare evitando i termini tecnici, se non sono strettamente indispensabili, o gli infiniti giri di parole per esprimere un concetto, laddove una frase breve e concisa sarebbe più che sufficiente. E poi, per tornare a Bryan Kramer, dobbiamo tenere a mente il contesto quando parliamo alle persone. È quest’ultimo che dà significato al messaggio, che crea i presupposti necessari affinché ciò che diciamo arrivi al destinatario in una forma e in un modo comprensibile.
In altre parole, un brand che vuole implementare una comunicazione H2H deve immedesimarsi. Siamo imprenditori, ma siamo persone e anche noi, per qualcun altro, siamo dei consumatori. Come vorremmo che ci parlassero? Cosa vorremmo trovare sul sito del nostro marchio preferito e di cosa vorremmo leggere quando navighiamo tra i suoi profili social?
Per parlare alle persone in modo efficace, la prima cosa che dovremmo fare è ricordarci che lo siamo anche noi. Partendo da qui, il passo verso una comunicazione empatica ed emozionale è senza dubbio più breve!
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